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Una foto, una storia

Lando Landi


Confesso: non sapevo dell’esistenza del museo dello sci e del museo della montagna di Stia, un paese nel Casentinese non certo di grandi dimensioni.

Ero in Toscana, nel Casentinese appunto, per godere delle mostre della prima edizione del Festival della Fotografia Italiana. In attesa dell’apertura dello spazio espositivo allestito a Stia (gli altri erano a Bibbiena ed a Poppi) ho voluto passeggiare per le vie del paese, stradine strette e con un’avvertibile pendenza.

Un’insegna quasi anonima, in un’anonima viuzza dove a fatica ci poteva passare un’auto di piccole dimensioni, annunciava l’ingresso al Museo dello Sci. L’ampia porta era aperta e permetteva di vedere l’interno. L’ambiente, lo si notava subito, era di quelli vecchi di secoli, e subito si intuiva la presenza di una quantità elevata di oggetti.

Dopo qualche istante di riflessione, eccomi fare il primo passo per superare la soglia d’ingresso.

La luce che illuminava ciò che appariva come un lungo corridoio non era poi molta. Abituati gli occhi, subito emergeva il cospicuo insieme di cose esposte, spesso appese a vecchi pannelli. Il soffitto a travi a vista ed il pavimento in un cotto che da molto tempo non si usa più contribuivano a rendere attraente il luogo.

Un istante dopo, ecco l’occhio accorgersi di un signore seduto ad una datata scrivania, chino ed intento a scrivere qualcosa. Della sua barba era impossibile non fare caso, tanto era lunga, bianca e non particolarmente curata.

Ho chiesto se si poteva visitare il museo, ottenendo un si nemmeno tanto pronunciato da quell’uomo, sempre chino su ciò che stava scrivendo, impedendomi di incrociare lo sguardo con il suo.

Con passo leggero per non disturbare, ho percorso le due corsie in cui era diviso lo spazio museale straripante di sci di ogni epoca, vecchie tute, scarponi, accessori di ogni tipo, che oggi risulterebbero d’uso arcaico; persino una cabina di una anziana funivia. Difficile orientare la lettura e la comprensione tanto era straripante il materiale esposto.

Passando al contiguo museo della montagna, l’allestimento di ciò che vi era raccolto permetteva una visione più facilitata. Qualche decina di minuti è stata sufficiente per una visita soddisfacente, complici anche le ridotte dimensioni delle poche stanze di cui il museo era costituito.

Avrei potuto, a quel punto, uscire senza fare il percorso a ritroso che mi avrebbe ricondotto al museo dello sci, ma non l’ho fatto.

Qualcosa mi attraeva. Con quell’uomo così schivo volevo parlare. Avevo la percezione che possedeva una storia importante da raccontare. E così, rientrato, mi sono avvicinato alla scrivania dove l’ho ritrovato, imperterrito, ancora impegnato nel suo scrivere.

Con una certa sorpresa, mi sono accorto che ciò che lo aveva “rapito” era il fare le parole crociate e, evidentemente, questo, a parer suo, richiedeva la massima attenzione.

Con garbo, ho fatto un paio di semplici domande, le cui risposte avrebbero potuto aiutarmi a capire di più ciò che i musei appena visitati proponevano. Ed è allora che si è rivelato un mondo inaspettato.

Come si chiama, ho chiesto quasi subito. “Lando Landi, la mia famiglia non ha dimostrato di avere una grande fantasia. O forse si”, questa è stata la risposta.

La successiva mezzora è stata come un fiume in piena. Il racconto della sua vita in un condensato entusiasmante.

Ottantatre anni, sciatore fra i primi in Italia, alpinista con molte importanti vette conquistate in giro per il mondo, spedizioni esplorative in vari continenti ed una passione per la montagna mai sopita.

Lando di tutto questo ne ha fatto quasi una religione. Usa una cadenza fortemente toscana nell’esprimersi e, passando in rassegna molte delle cose esposte nel museo, si sofferma su alcune paia di sci di cui racconta la straordinaria, incredibile storia; fa notare come erano fatti i primi scarponi da discesa e cosa volesse dire essere sciatori quasi settant’anni fa.

Gli occhi brillano quando ricorda il suo essere stato alpinista, e le avventure che ha vissuto.

Racconti affascinanti, uno di seguito all’altro, coinvolgenti.

Un affettuoso saluto conclude il mio dialogare con Lando Landi, una persona che il caso mi ha fatto conoscere, ed anche stavolta mi è stato regalato qualcosa che reputo prezioso: l’incontro, seppur inevitabilmente limitato, con la vita e le esperienze altrui.

E questo, se fatto con sincerità, è qualcosa che trabocca di infinita umanità.