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A Pietrasanta, paese toscano, si respira Arte.
Non quella delle opere già esisten@, conosciute e celebrate o anche delle meno note, ma quella dei lavori che stanno nascendo. Mol@,
infa;, sono i laboratori dove si creano sculture, dove i blocchi di candido marmo, spesso lo “statuario di Carrara”, diventano
capolavori.
Sorprende che alcuni moderni capannoni industriali dall’aspe1o anonimo offrano al loro interno un’atmosfera quasi mis@ca. Una
finissima polvere bianca ricopre ogni cosa, e gli ambien@ sembrano più musei che opifici, vista la fi1a presenza di bianchissime statue,
grandi e piccole, sistemate un po’ ovunque in a1esa di essere finite o di essere imballate per la consegna.
Gli strumen@ usa@ dagli ar@giani-ar@s@ sono moderni, veloci ed efficien@, affianca@ però dai più tradizionali scalpelli e martelli.
A1rezzi che servono a togliere il “marmo superfluo”, quello che imprigiona in ciascun blocco una figura, un personaggio, come diceva
Michelangelo.
Sono pure presen@, anche se in ne1a minoranza, laboratori dalla stru1ura archite1onica più tradizionale, dalla veste più roman@ca,
disloca@ sopra1u1o a ridosso del centro storico del paese.
Il rumore degli scalpelli pneuma@ci in azione è avver@bile ma non assordante e fas@dioso. È un picchie;o metallico che segue una
prima sgrossatura dei blocchi effe1uata con seghe circolari ed altri a1rezzi ada; al lavoro non di fino.
In ques@ luoghi si entra in punta di piedi. Le minuscole par@celle di marmo sospese nell’aria evidenziano i raggi di sole che entrano
dalle finestre. Gli ar@giani-ar@s@ operano in silenzio, quasi immersi in un loro mondo dall’accesso esclusivo. Lavorano ora
rapidamente, ora lentamente, alternando le azioni sul marmo a brevi pause di osservazione e riflessione riguardan@ il progressivo
cambiamento di forma del blocco a loro affidato.
I bianchi corpi delle opere concluse sono una presenza gen@le, anche se raduna@ in gruppi numerosi che suggeriscono affollamento. I
loro occhi sembrano osservare con curiosità ed a1enzione, seppur con sguardo fisso, la realtà a cui ora appartengono, dopo che lo
scalpello li ha liber@ da una prigionia durata milioni di anni. Alcuni vol@ sono commoven@, e si fa fa@ca ad acce1are che si tra; solo di
materia modellata dalla mano dell’uomo.
E i personaggi e gli ogge; non ancora defini@ pienamente nella loro forma, sembrano impazien@ di acquisirne una, e pare chiedano
allo scultore di fare presto, di lavorare frene@camente per consegnare loro un’iden@tà. Ma più che questa, sembra che vogliano
un’anima.