enezia è.
Difficile definire questa città, così particolare, così diversa da tutte le altre.
Per qualcuno è un sogno, per altri una maledizione. Se non ci sei nato, non è facile. Io qui non ci sono nato. E nemmeno ci ho vissuto.
Sono stato per molto un turista per Venezia. Inizialmente come tutti gli altri, superficiale, a volte frettoloso, sempre stupito.
A Venezia ci sono andato tante volte, e a poco a poco ho iniziato a comprendere perché in me nasceva progressivamente una nostalgia di quel luogo, se passava del tempo dall’ultima visita.
Una città non la capisci, è impossibile; la fai tua o la rifiuti. O la subisci.
Venezia ti sfugge. Non è quella delle mille vetrine, spesso simili fra loro, dei negozi che fanno ala ai due-tre percorsi più battuti dai milioni di persone che qui giungono da tutte le parti del
mondo per vedere la ‘’città sull’acqua’’, che conducono da Piazzale Roma a San Marco. O, forse è anche questa, con il suo volto da merce di basso livello venduta da chi non ha nulla da
condividere con la secolare storia delle pietre e dei mattoni con cui sono costruiti lì gli edifici. O gli innumerevoli ristoranti e pizzerie, dove servono piatti precotti e pizze congelate come se
fossero cibo di alto profilo.
Venezia non è forse nemmeno più dei veneziani.
Io, lo ripeto, non sono di lì, ma a Venezia ci torno sempre volentieri, quasi per complicità con la sua anima che, triste, sembra a poco a poco sbiadire.
Mi piace perdermi nelle calli, raggiungere angoli non avvezzi al turismo, dove i luoghi appaiono molto simili fra loro. Le costruzioni non nobili, i canali, i segni che il tempo lascia accomunano
ai miei occhi frammenti della città, quasi fossero pareti di un labirinto, identiche a se stesse. Ma poi appaiono altri palazzi, nuove chiese, campi e campielli, canali, semplici abitazioni che
raccontano di una città variegata che, forse, tenta di chiudersi su se stessa, rivendicando la sua vera essenza.
Torno a Venezia perché faccio mia la sua Storia, fantasticando sull’appropriazione che posso tentare, con l’immaginazione, del passato delle vite altrui, toccando le antiche pietre, o
guardando le mirabili opere architettoniche ed artistiche sparse ovunque, o ciò che ha accompagnato per secoli la vita di tutti i giorni di chi qui ha abitato, ha gioito, ha sofferto, grandi
personaggi e gente comune.
E’ una questione tutta mia, ma mi è più facile entrare in sintonia con i luoghi che palesemente evidenziano un passato, un vissuto che ha profonde radici nel tempo, piuttosto che ambienti,
seppur più comodi e funzionali alla vita che appaiono però freddi, impenetrabili, come in certi quartieri moderni, con architetture che, sì, impressionano ma non sono capaci di esprimere
calore umano.
Venezia mi affascina. Ti muovi per l’intera città a piedi. Ne sei costretto, se non vuoi usare la barca. La Storia la senti addosso, quella grande e quella piccola.
E l’occhio vaga, attento a cogliere qualunque cosa possa mostrare, o parlare, di ciò che voglia dire ‘‘essere Venezia’’, del suo passato, del presente, ed in parte del futuro.
Conferme e sorprese quasi ad ogni angolo. Non solo i luoghi, ma anche la gente, veneziana o forestiera. E la gente è il presente, o una parte importante di questo, così variegato e strano.
Residenti, turisti, viaggiatori, lavoratori, tutti con la loro storia e le loro aspirazioni.
Non sono molte le opportunità di buttare lo sguardo al di là dei muri esterni delle abitazioni, oltre le porte e le finestre, o almeno per me che non ho amicizie significative in città. Quando
succede, è scoprire un mondo in un mondo, uno dentro l’altro. Ciò che mi sono quasi sempre apparsi sono ambienti dall’aria aristocratica, forse decadente. La costate è la ricerca di bellezza e
ricchezza nell’allestire gli arredi, o nel mantenere quelli ereditati dai secoli. Anche qui, la Storia ha lasciato una profonda impronta. Entrare poi in alcuni palazzi nobiliari, non musealizzati,
costituisce un’esperienza che ti proietta vuoi nel Cinquecento, nel Seicento e, soprattutto, nel Settecento. Anche questo è Venezia.
Ma la ‘‘mia’’ Venezia è anche un luogo della mente, forse idealizzato, dove tutto acquisisce un valore particolare. Un valore raccontato da uno speciale occhio indagatore, quello di una
macchina fotografica.
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